L'articolo nasce dagli stimoli derivanti da una conversazione telefonica a tarda ora con l'autrice del libro Diario segreto di Marilù/Diario segreto di Marco.
Il libro ha l'intento di essere uno strumento guida per chi voglia entrare in relazione con il mondo degli adolescenti. Non sto qui a ripercorrere il cammino fatto insieme all'autrice, riflettendo insieme sull'uso possibile del libro stesso da parte di adulti e adolescenti, quanto piuttosto mi preme sottolineare che abbiamo dovuto, costretti da onestà intellettuale, toccare anche il tema della seduzione. Non della seduzione come fase del corteggiamento, quanto quella che pericolosamente può travalicare i limiti imposti dallo scarto generazionale.
Marilù, adolescente in fieri, scopre con le sue prime mestruazioni che il mondo relazionale non è più come prima. Innanzitutto dentro se stessa: "Sapevo quello che mi stava succedendo, a scuola ne avevamo parlato e anche mia madre me l'aveva detto, ma adesso era vero ed io non sapevo che fare...
Dopo un'eternità mia madre è arrivata e, rossa di vergogna (e di sangue, aggiungo io), le ho fatto vedere il sangue. Mi aspettavo un urlo raccapricciante...". Subito dopo nei confronti degli altri, genitori in primis: prima i complimenti, gli auguri per il nuovo status sociale "Come va, signorina?", poi il controllo serrato da parte della madre, l'appello alla fiducia del padre, la limitazione delle relazioni extrafamiliari.
Quel che Marilù non può sapere è che la sua vergogna, il suo non saper che fare, il suo urlo raccapricciante alla vista del sangue (proiettato nella madre, perché ingestibile) appartengono anche agli adulti che, dietro l'apparente e doverosa calma, sono obbligati a reinterrogarsi sulla gestione della sessualità e a riaffrontare i problemi rimasti irrisolti. "Mi ha anche raccontato di quando è successo a lei (la mamma) e di come si spaventò perché non sapeva che cosa le stesse succedendo e che la nonna le disse solo quel che doveva fare... Per questo a me l'aveva subito detto".
E' evidente che il tentativo fatto dalla mamma di Marilù di tranquillizzarsi retroattivamente, assumendo una posizione giudicante nei confronti della propria madre, non può avere l'efficacia desiderata. Perché in lei è ancora presente la rabbia filiale, ora di Marilù, che sicuramente si espresse nel pensare "Io non farò come i miei genitori, non commetterò i loro errori".
Marilù ha un fratello di qualche anno più grande, al quale tutto viene concesso, non solo, ma del quale vengono vantate le numerose conquiste femminili.
Personalmente ritengo che la posizione del fratello sia più pericolosa, perché sedotto dall'orgoglio, e solo per questo più indifeso nei confronti dell'intrusività, dei genitori.
Entrambi, però e sia pure con modalità differenti, si trovano a dover fronteggiare la ridefinizione del proprio Sé (sessuato), senza un'adeguata opera di contenimento da parte di genitori opportunamente "per loro" asessuati.
La mamma di Marilù racconta alla figlia che le sue conoscenze sul suo corpo sessuato le vennero dalle amiche. "E si tranquillizzò". Oggi, quindi, lei si propone come amica e, come un'amica, forse, l'ha abbracciata. Che cosa si siano dette, è taciuto. La vergogna, il raccapriccio,
restano aree inesplorate. Perciò Marilù può fare solo la prima parte del percorso che l'aspetta: è entrata in relazione con il corpo sessuato, ma non ne conosce l'uso, se non nell'agito del primo bacio. E come tutti i passaggi l'atto, ha il sapore più del "come se" che di una effettiva conquista di spazi inesplorati del Sé.
Ma come si fa a non essere seduttivi? Come si fa a rispettare lo spazio privato del Sé? E contemporaneamente svolgere opera di contenimento?
Come si fa a tollerare la rabbia dei nostri ragazzi, quella esplosiva, che distrugge dentro prima che fuori? Come si fa a non sbagliare? E a non soffrire?
Intanto sento di dover sottolineare che il riconoscere le proprie difficoltà e la propria capacità di sentirsi sbagliati, in special modo come adulti, ci aiuta a riconciliarci con i nostri genitori. Come loro, anche noi..., è solo sperabile un po' meno di loro. La "pietas" latina è un sentimento adulto.
So che questo non è sempre possibile, né completamente possibile, specie in presenza di comportamenti chiaramente lesivi. Parlo, invece, di sbagli commessi in perfetta buona fede, e con le migliori intenzioni.
Mi viene in mente il padre di Marilù, rimproverato perché non ha potere, ma può solo balbettare qualcosa a proposito della fiducia. Forse dentro di sé ha pensato "Son cose di donne". Qual'è la colpa del padre? Penso che sia quella di non aver saputo svolgere opera di contenimento nei confronti della tendenza materna a risucchiare la figlia in un rapporto di totale dipendenza. Il potere del fallo paterno distrutto dal fallo materno, forte della fascinazione della relazione simbiotica. In fin dei conti, quando Marilù potrà sentirsi simile alla madre? Quando anche lei, in virtù dell'intervento di un uomo, potrà accedere alla funzione materna.
Per ora è solo una ragazza che ama, odia, si esalta, si spaventa di se stessa, cerca di sfuggire a leggi e controllori che, in fin dei conti, la rassicurano, perché non è sola e disarmata.
Certo gli adulti non le facilitano il percorso di crescita, non le garantiscono la felicità e l'assenza di pericoli. E' sperabile, però, che le diano la forza di andare avanti, di sapersi risollevare dopo inevitabili cadute, di saper chiedere aiuto e di saper amare. E di saper essere, come madre, forse un po' migliore della sua. Non troppo, perché nella vita non sempre si può esagerare.